Saga Bacardí |
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CLAUDIO LINATI CONDE DE PARMA |
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Nascque a Parma el 1º Febbraio 1790 dal conte Filippo e da Emanuella dei conti Cogorani, che mori dandolo alla luce. Per la sua formazione umanistica, piú che il padre, uomo di vasta e profonda cultura ma troppo preso dai propri interessi scientifici e dagli inpegni pubblici, fu importante G. Caderini, studente di legge di vivace ingegno che per diversi anni abitó in casa Linati, destinato a una brillante carriera nella magistratura en el governo di Maria Luigia: fu lui ad accendere nel Linati l’ardore patriotico e i sentimenti liberali.
LINATI CLAUDIO MARCELLO
Parma 1 febbraio 1790-Tampico 11 dicembre 1832
Nacque dal conte Filippo, uomo di non comune cultura, che in veste di deputato del Corpo Legislativo per il Dipartimento del Taro difese di fronte a Napoleone gli interessi di Parma, anche a scapito della sua privata fortuna, e più tardi, durante i moti rivoluzionari avvenuti in Parma nel 1831, fu presidente del Governo provvisorio, quindi incarcerato e sottoposto a giudizio per delitto di stato, ma successivamente prosciolto e rimesso in libertà. Morta la madre (Emanuella dei conti Cogorani) nel darlo alla luce, a nove anni il Linati fu affidato dal padre alle cure di Giuseppe Caderini, giovane di modesta estrazione ma colto e di ingegno brillante, che, insieme con la cultura letteraria, andò instillando nell’animo del Linati ardenti sentimenti liberali e fierissimo odio per ogni tirannide. Non è dato sapere dove il Linati abbia imparato i primi rudimenti dell’arte, sebbene la famiglia abbia lasciato numerosi aneddoti sulla sua precoce e straordinaria attitudine per il disegno (In età di soli sette anni Claudio disegnava figure che con certa compiacenza erano dalla famiglia mostrate agli amici di casa, ricorda il figlio Filippo), tanto da suscitare meraviglia negli abituali frequentatori di casa Linati e nel padre stesso, che pure non doveva essere incline ai facili entusiasmi. Coltivò dapprima l’acquaforte (Ritratto del sacerdote Pietro Amoretti), poi l’acquatinta nella Società Parmigiana dei pittori ed incisori all’acquerello, entrandovi un anno dopo la sua costituzione, nel 1808. Dopo un iter scolastico intenso sebbene irregolare (appena dodicenne fu a Bolzano e poco più tardi a Berlino, per apprendere il tedesco), a diciotto anni il Linati andò a Parigi, città che il trionfo dell’epopea imperiale aveva reso centro vitale di ogni attività artistica, dove il padre, che vi si trovava in qualità di deputato del Corpo Legislativo di Francia, lo condusse per completare la propria formazione artistica e culturale. Iniziò il suo apprentissage presso Gioachino Giuseppe Serangeli, cui lo aveva indirizzato il pittore Michele Rigo e presso il quale soggiornò anche Paolo Toschi, approdato a Parigi nel 1809 per specializzarsi nello studio dell’incisione all’acquaforte e soprattutto in quello del bulino.Una lettera del padre al Caderini del 17 gennaio 1809 rende edotti sul ritmo di lavoro, assai serrato, tenuto dal Linati: passa costantemente tutta la giornata dalle 9 fino alle 4 a dipingere e la sera a disegnare il nudo.I suoi primi saggi li ha fatti nella Galleria di Rubens al Lussemburgo; ma essendo stato di là cacciato per essere stata la suddetta Galleria destinata alle sedute dell’alta Corte Imperiale pel processo che deve farsi al Generale Dupont e Marescott, egli si è rifugiato agli Invalidi per copiare il quadro del David rappresentante l’Imperatore a cavallo passando il San Bernardo.In quella occasione è anche probabile che il Linati conoscesse Jacques-Louis David, all’apice del successo come primo pittore dell’Imperatore, e passasse nel suo prestigioso atelier, dato che nella Necrologia dedicatagli sulle pagine del numero del 18 marzo 1826 di El Iris si dichiara discipulo de este famoso pintor.Ma l’incertezza dei tempi (si discorre di guerra con l’Austria, il cielo voglia che sia falsa la voce, scrive a Caderini il 12 febbraio 1809) e soprattutto l’innata irrequietezza, gli fecero accantonare la tavolozza per la musa poetica, che dovette apparirgli più congeniale a esprimere il suo tumultuoso mondo sentimentale.Il 3 giugno pregò infatti l’amico precettore di cercargli nella biblioteca paterna un manoscritto della congiura di Pier Luigi Farnese e di mandarglielo, perché gli pareva materia da scribacchiare, forse pensando a una tragedia che tuttavia non realizzò mai, anche perché pochi giorni più tardi giunse inaspettata, gettandolo in una penosa incertezza e in una ancora più uggiosa inazione (non osando nulla intraprendere per tema di non terminare, non essendo né armato né togato), la notizia della forzata coscrizione militare nell’esercito francese, fissata per il successivo 1810. Entrato nella Guardia d’Onore del principe Borghese, governatore del Piemonte, costretto a una vita di guarnigione insieme con i Francesi, spesso arroganti e oltraggiosi, contraria alla sua prepotentissima passione, l’indipendenza, dopo due anni oziosi spesi nei riti sciocchissimi di Marte, chiese di poter diventare ufficiale nella milizia attiva perché meglio ruvida catena che una inghirlandata, perché quella non fa vile chi la trascina. Entrato infatti nelle armate napoleoniche in un corpo di cavalleria olandese, fu inviato in Germania, Slesia e Polonia.Si mise in luce nella battaglia di Lutzen, dove fu decorato al valor militare dal re di Sassonia, e si distinse con non minore valore anche in quella decisiva di Lipsia.Caduto nelle mani degli Austriaci, fu confinato in Ungheria, dove ebbe modo di mettere a frutto la propria esperienza di artista per provvedere a sé e a molti dei suoi compagni di prigionia.Siglata la pace nel 1814 e conclusa la prima travagliata parentesi di battaglie, prigionie e peregrinazioni da un capo all’altro d’Europa, il Linati raggiunge il padre in Spagna e qui, nel 1815, sposò Isabel Bacardi de Pinos, giovane colta e avvenente, di nobile e ricco casato.Rientrato definitivamente a Parma nel 1818, riprese i contatti con i vecchi amici (il Toschi, ilMistrali, il Paër), ne strinse di nuovi con altri personaggi di spicco della società locale, tutti in odore di carbonarismo (Ferdinando Maestri, Jacopo Sanvitale, Ambrogio Berchet, Antonio Panizzi, ben noti all’alta polizia di Vienna, che ne apriva puntualmente la corrispondenza), e partecipò animosamente alla vita delle società segrete, prima in qualità di Adelfo, poi di Sublime Maestro Perfetto, come dimostrarono i processi istituiti pochi anni dopo.Mise a disposizione dei compagni di fede, oltre alle proprie relazioni personali e alle informazioni relative al sotterraneo lavorío delle società segrete europee, acquisite durante gli anni burrascosi della giovinezza, la propria villa di Fraore per le riunioni dei fratelli, si occupò con Martini e Micali della costituzione di una Chiesa in Mantova, fondò le logge di Reggio Emilia e di Guastalla e rafforzò quella di Parma, collegandole poi con quelle di Torino e di Bologna, tenne contatti con la Romagna e con i più noti federati lombardi (Porro, Pecchio, Confalonieri) e nel 1820 stampò personalmente, con caratteri acquistati a Bologna, un Proclama latino diretto alle truppe ungheresi destinate a transitare per l’Italia Centrale, nell’intento di dissuaderle dal reprimere i moti di Napoli.Sul finire di quello stesso anno il Linati fu costretto a tornare in Spagna, forse per interessi familiari, forse per qualche misterioso incarico di natura politica, ma non appena gli giunse notizia dei moti di Piemonte e dell’abdicazione di Vittorio Emanuele di Savoja, rientrò precipitosamente in Italia via Lione, ma vi giunse quando le truppe piemontesi, sedata la rivolta, rientravano in Torino.Ormai noto alle polizie dei diversi stati, nell’aprile fu arrestato da quella piemontese e tradotto a Milano, dove venne rinchiuso nelle carceri di Santa Margherita e interrogato.Solo il tempestivo intervento del padre e il diretto interessamento del Neipperg resero possibile la liberazione e il rimpatrio del Linati e del suo compagno di viaggio, l’avvocato Pellegrini di Mantova.Ma a Parma la permanenza del Linati, ormai chiaramente bollato come sospetto, divenne sempre più difficile.In più, la delusione per l’infelice esito delle rivoluzioni napoletana e piemontese e il desiderio di cercare fortuna in nuove arene, lo resero particolarmente disponibile, come molti altri patrioti italiani che negli stessi anni sciamarono in terre lontane, al richiamo di libertà che giungeva prepotente dalla Spagna e dalla Grecia.Corse quindi in Spagna, dove peraltro lo legavano vincoli di famiglia, forse consigliato anche dal padre, preoccupato della delicata situazione creatasi di fronte al governo e alla polizia di Milano.Appena giunto in terra spagnola si arruolò nella milizia nazionale di Barcellona per difendere il governo liberale dai realisti. Arresosi il forte di Seo d’Urgel, dove si era rifugiato con gli amici, i domestici e la figlia più piccola, ogni suo avere venne saccheggiato dai ribelli e la figlia Manuellina fu tenuta in ostaggio fino al pagamento di un ingente riscatto.Dopo un mortificante esilio in Francia, rientrò in Catalogna e prese parte alla campagna contro i realisti nello stato maggiore del generale Mina, con il quale riprese Seo d’Urgel, che tuttavia perse nuovamente dopo un’estenuante guerriglia di montagna contro gli invasori francesi comandati dal duca di Angoulême.Non compreso, in quanto straniero, nella capitolazione, il Linati fu costretto a darsi prigioniero di guerra ai Francesi, che lo internarono nel forte di Montlouis. A seguito della condanna a morte pronunciata contro di lui in Spagna e alla confisca dei beni, anche la famiglia fu costretta a lasciare Barcellona e a rientrare in Italia. Quando la moglie del Linati giunse a Parma il 23novembre 1823, già segnalata per l’exaltation de ses opinions revolutionnaires e attentissimamente e segretamente sorvegliata dal governo locale, i carbonari parmensi avevano già visto addensarsi sul capo la tempesta del giudizio penale per gli incitamenti che, fin dall’aprile del 1822, Vienna, Modena e il governo di Lombardia avevano pressantemente inviato alla duchessa di Parma Maria Luigia d’Austria perché rompesse gli indugi, ricercasse i colpevoli e li punisse.Il Linati, che con il capitano Antonio Bacchi e Guglielmo Borelli risultò assente al processo del 10 febbraio 1824, fu giudicato e condannato in contumacia da una commissione speciale a dieci anni di reclusione e successivamente, con sentenza del Supremo Tribunale di Revisione che accolse l’appello del pubblico ministero contro la studiata mitezza della prima condanna, alla pena di morte, alla perdita dei diritti civili e alla confisca dei beni.Con la condanna e con la pena morale che per la sua continuità pareggia e supera la morte, il Linati prese la via dell’esilio, resogli nel tempo ancora più difficile dal suo stesso sdegnoso individualismo, dall’insaziabile sete di libertà, dalla smania esasperata dell’azione per l’azione, dal disprezzo per un secolo che va piucché mai vile, da quel doloroso e nel tempo crescente pessimismo verso i suoi contemporanei che gli impedirono di partecipare pienamente alla realtà storica del suo tempo e ne fecero, sostanzialmente, un grande incompreso, un isolato nel senso più profondo del termine.Da questo momento la vita del Linati, già travagliata e tempestosa durante gli anni della giovinezza, si fece via via più errabonda e dolente.Trasferito dal forte di Montlouis a Montpellier, dove rimase sei mesi, ottenne di stabilirsi ad Avignone e là finalmente, nell’ottobre del 1824, gli fu concesso il passaporto per recarsi in Belgio: Perfino calco una terra ospitale, e malgrado la nebbia e pioggia, non duolmi dell’abbandonato sol del meriggio, scrive ad Antonio Panizzi il 1° novembre. Qui, un po’ per assicurarsi i mezzi per vivere e un po’ per la mai sopita passione per le arti, rinnovò il suo sodalizio con la pittura e con la litografia, e riprese l’attività letteraria: tragedie, traduzioni e scritti vari, per lo più scomparsi durante poliziesche perquisizioni o dispersi nei frequenti e avventurosi trasferimenti.Ben presto, tuttavia, abbandonò anche Bruxelles per trasferirsi in Messico, dove impiantò la prima officina litografia del paese, fondò una scuola di disegno e insieme al connazionale Fiorenzo Galli e al poeta cubano Josè Maria Heredia diede vita al periodico critico y literario El Iris, ottenendo grandi meriti presso il governo messicano, che gli conferì la cittadinanza. Ai primi del 1827 ritornò in Europa e nel marzo fu nuovamente a Bruxelles, dove rimase fin quasi alla fine del 1829.In questa città pubblicò a fascicoli un lavoro sul Messico, accompagnato da disegni acquerellati di notevole interesse storico-artistico e iconografico, che fu accolto con grande favore anche dalla Corte.L’opera è costituita da 48 vivacissime tavole a colori, oltre a quella posta a frontespizio rappresentante Montezuma.Realizzate con una destrezza di mano e con un’attenzione ai particolari sorprendenti, le litografie acquerellate sono accompagnate da spiegazioni che rivelano la profonda conoscenza dell’ambiente, dei costumi, delle abitudini e delle superstizioni di quel paese, allora quasi ignorato, tanto da costituire un documento di grandissimo interesse.Negli anni trascorsi a Bruxelles il Linati venne certamente in contatto con il Buonarroti e con altri esuli italiani appartenenti all’elemento rivoluzionario più avanzato, Gioachino Prati e il parmigiano Giovanni Martini (anch’egli colpito da condanna a morte nel 1825), già suo compagno di setta, ma il suo atteggiamento era ormai quello, disincantato e disilluso, del distacco dalle società segrete e dal loro affannoso armeggiare nell’ombra, forse nell’acuta consapevolezza dell’inevitabile fallimento dell’oscuro lavorío settario.Ma nel luglio del 1830, la rivoluzione di Parigi sembrò riaccendere le speranze di tutti i rifugiati e anche il Linati sognò una rivoluzione interna che trionfasse sugli odiatissimi governi stranieri. Impaziente di agire, entrò in diretto rapporto con Enrico Misley e con Ciro Menotti, ispiratore del progetto unitario inteso a riunire tutta l’Italia sotto un unico governo.Nel febbraio del 1831 il Linati fu a Marsiglia, in attesa di imbarcarsi con altri patrioti per correre in Italia a dare man forte ai rivoltosi.Con il Misley noleggiò una nave con un carico d’armi, per tentare lo sbarco sul litorale di Massa.Ma il 6 marzo la Francia pose sotto sequestro la nave e disperse i rivoluzionari, mentre i moti dei Ducati e della Romagna fallirono miseramente per il tradimento del duca di Modena, che lasciò mano libera all’Austria.Col fallimento della progettata impresa e delle rivoluzioni, tutto sembrò crollare intorno al Linati e anche la mortificante ospitalità di un paese tanto infido non gli fu più tollerabile.Dopo una temporanea permanenza a Bordeaux, dove assunse la direzione del giornale La Francia e l’Europa nel 1832, si imbarcò nuovamente per il Messico, con l’ultima illusione di poter riunire la famiglia e riprendere l’attività artistica e letteraria, ma appena sbarcato a Tampico morì, probabilmente di febbre gialla, a soli 42 anni.
FONTI E BIBL.: F.Linati, Vita del Conte Claudio Linati, seguita da un saggio poetico del medesimo, da documenti e note,Parma, Luigi Battei, 1883; E.Casa, I Carbonari Parmigiani e Guastallesi cospiratori nel 1821 e la Duchessa Maria Luigia Imperiale, Parma, Tip.Rossi-Ubaldi, 1904, 333-338; P.Martini, L’arte dell’Incisione in Parma, 1873; G.B.Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, 1877, 220 e 523, seconda appendice, Parma, 1884, 33-34; L.Servolini, Dizionario illustrato incisori italiani moderni e contemporanei, Milano, 1955; V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 120; Dizionario Risorgimento, 3, 1933, 380; Claudio Linati (1790-1832), Parma, 1935; F.Ercole, Uomini politici, 1941, 224; Dizionario UTET, VII, 1958, 960-961; Arte Incisione a Parma, 1969, 53; Palazzi e Casate di Parma, 1971, 387-388; A.M.Comanducci, Dizionario dei pittori, 1972, 1722; T.Marcheselli, in Gazzetta di Parma 15ottobre 1983; A.V.Marchi, Figure del Ducato, 1991, 364; Almanacco Parmigiano 1996-1997, III-X.
Fin da giovanissimo, oltre agli studi letterari, il Linati coltivó i suoi interessi artistici: nel 1808 entró nella Societá parmense degli incisori all’acquarello (la “Societé des graveurs au lavis”), fondata l’anno prima da P. Toschi, A. Isac, T. Gasparotti e V. Raggio. Quando, agli inizi del 1809, segui a Parigi il padre, deputato del Corpo legislativo per il Dipartimento del Taro, conobbe artisti come J.-L. David. Di cui-come scrisse fu allievo per qualche tempo. Pur spinto da moldi a seguire la carriera politica, preferí coltivare gli interessi artistici e letterari: compose in qual periodo “laq notte” poemetto di 347 versi di chiara derivazione parisiana, la sua migliore e piú luriga prova poetica.
Nel 1809 il Linati fu chiamato a far parte della guardia d’onore del principe C. Borghese, governatore generale. Durante una per manenza a Torino dal 1810 al 1812, intervallata anche per motivi di salute da lunghi soggiorni parigini e brevi rientri a Parma, diede prova di un carattere inquieto e sprezzante del pericolo, incline alla passionalitá, sensibile al gentil sesso e al tempo stesso votato a una romantica malinconia di vivere, da lui cantata in lirici autoritratti, che non lo abbandonó piú; a quegli anni sembra anche risalire il suo accostarnento alla massoneria e all’adelfia. Nel 1812, sciolta la guardia di Borghese, fu arruolato in un corpo di cavalleria olandese e si distinse nella battaglia di Lutzen; l’anno seguente ebbe onorificenze dal re di Sassonia Federico Augusto III, imparentato con i Borbone di Parma; diede prove di valore anche nella battaglia di Lipsia (1813): fatto prigioniero transcorse in periodo di confino nella bassa Ungheria, dove si guadagnó da vivere vendendo disegni e dipinti.
Dopo il 1814 reggiunse il padre a Barcellona, dove i Linati possedevano beni, en el Febbraio dell’anno seguente sposó la bella e sensibile Isabella Bacardí, di una delle piú facoltose famiglie della cittá, da cui ebbe cinque figli, due maschi (Filippo, nato in Spagna nel 1816; Camillo, nato a Parma nel 1820) e tre femmine (Emanuelina, nata nel 1818; Leocadia, nel 1823 e l’ultima, Albina, nel 1831, che il Linati non conobbe).
Quasi certamente attorno al 1818-19, con il transferimento della famiglia a Parma, il Linati si accostó alle sette segrete locali e a una logia dei sublimi maestri perfetti, e divenne un attivissimo propagatore del programma rivoluzionario nei Ducati di Modena e di Parma e un importante tramite con i centri della cospirazione italiana e francese, come conferma il ricco epistolario. Anche le dimore dei Linati divennero in quei frangenti luoghi, non cosi segreti, di incontro dei settari.